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Il rischio Brexit che tormenterebbe Mazzini
Il rischio Brexit che tormenterebbe Mazzini
Pasquale Merella, FRM
Le più importanti istituzioni sovranazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, sono concordi nel registrare un aumento globale del rischio geopolitico nei prossimi 12 mesi. Considerando la crescente situazione di crisi in Medio Oriente, l’incertezza sull’economia americana, le posizioni bellicose della Russia e la crisi d’identità della Cina, l’Europa avrebbe l’occasione di guadagnarsi il ruolo di super-potenza e punto di riferimento in un mondo di incertezze. E invece no. Oggi in Europa si parla di Brexit con riferimento al “rischio” di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea a seguito del referendum indetto per il 23 giugno prossimo dal Primo Ministro inglese David Cameron.
Quasi sorprende che la genesi dell’annunciato referendum inglese, ampiamente dibattuto in questi giorni, risalga in realtà al gennaio 2013, quando Cameron, proponendosi per una sua rielezione, inserì nel proprio programma la promessa di una rinegoziazione dei termini di membership del Regno Unito nella UE. Paradossalmente proprio questa promessa, che ha contribuito in maniera significativa alla vittoria di Cameron, può oggi costargli la poltrona in caso di voto referendario avverso alla permanenza nell’Unione.
I termini dell’accordo di rinegoziazione hanno trovato pieno accoglimento in occasione del summit di ottobre a Bruxelles, eppure il rischio di Brexit permane alto come mostrano i sondaggi.
Che lettura possiamo dare di questa situazione di tensione oltremanica? La risposta in realtà appare semplice: l’Europa si presenta come un lavoro incompiuto.
Nel 1834 Giuseppe Mazzini fondò in Svizzera la “Giovine Europa” che aspirava al superamento dei nazionalismi, sostenendo un processo umanistico di integrazione dei Paesi con il fine di favorire la pari dignità degli stati europei. Questo progetto però presuppone due elementi essenziali: il superamento del concetto di patria e la realizzazione tramite la costituzione di una federazione europea.
Ma tutto questo non basta. Infatti il terzo elemento mancante, condizione necessaria e sufficiente per il pieno completamento dei primi due fattori, riguarda la formazione di una classe dirigente europea, che ad oggi risulta assente. È forse proprio questo il vero sogno mancato di Mazzini.
L’atteggiamento dei nostri governanti, come spesso accade in sede di dibattito parlamentare nell’introdurre elementi di riforma, sovente si assume una giustificazione sbrigativa dicendo “ce lo chiede l’Europa” intesa quasi come fosse un’entità astratta. Allo stesso modo anche a noi cittadini, magari indignati per la mala gestione della cosa pubblica, capita di utilizzare espressioni tipiche come “è tutta colpa dello Stato”.
È sicuramente un problema di mentalità.
Certamente gli inglesi hanno ragione nel sottolineare come elemento principale del loro malessere il costo della regolamentazione. La macchina burocratica europea assorbe molte risorse di cui si fatica a percepire i reali benefici: si pensi al ruolo che l’Europa avrebbe potuto assumere nel quadro degli accordi TTIP, come ebbi occasione di ricordare proprio su questo blog.
Una classe dirigente europea capace avrebbe colto la “minaccia” del Brexit trasformandola in opportunità di crescita individuando le opportune proposte per una Europa di cambiamento verso una maggiore coesione.
Sono proprio questi “fallimenti” che oggi mostrano, invece, una Europa prigioniera di situazioni di stallo come evidenziato dal vertice di Bruxelles dello scorso 7 marzo in cui l’unico accordo raggiunto è stato per un rinvio della discussione al prossimo 17 marzo, senza quindi dare una risposta chiara al problema dell’immigrazione.
Un altro tema di rilevanza per l’Europa è strettamente correlato con il rischio Brexit. L’uscita del Regno Unito dal club UE avrebbe delle conseguenze che riguardano l’andamento degli investimenti: da una parte la perdita del “passaporto europeo” per il Regno Unito e dall’altra l’indebolimento della posizione europea sia con riferimento agli accordi sul commercio internazionale (es. TTIP) sia con riferimento ai rischi geopolitici riguardanti la lotta al terrorismo o anche la gestione delle sanzioni per frenare la corsa al nucleare.
Insomma, il sogno di Mazzini non può che trovare compimento nell’espressione di una solida classe dirigente europea che sensibilizzi sull’importanza di far parte di una realtà che supera i confini nazionali, facendo rete, capace di dare una risposta seria e con voce unisona e credibile ai problemi principali che sono comuni a tutti i Paesi europei: la gestione dei flussi migratori e la crescita reale dell’economia.
Per realizzare questi importanti obiettivi servono passi verso una direzione convergente. Banalmente anche il problema linguistico dei vari Paesi potrebbe essere risolto incentivando l’adozione dell’inglese come lingua comune già nelle scuole primarie. Ancora, la scelta di un Presidente per l’Europa, super partes.
Ecco che per parafrasare un contemporaneo di Mazzini, Massimo d’Azeglio, possiamo dire che “abbiamo fatto l’Europa, ora dobbiamo fare gli europei” (non di calcio!).
Originally published at econopoly.ilsole24ore.com on Mar 15, 2016.